Potrebbe andare peggio

Hai mai la sensazione di dover toccare il fondo per poter ricominciare?

A volte abbandonarsi alla fantasia dello scenario peggiore è rassicurante. Se la situazione sembra senza via di uscita, ti tuffi a capofitto tra le paure più oscure e segrete, ti lasci scivolare verso l’irreparabile e, proprio da ultimo, quando tutto sembra perduto torni in superficie con un ideale colpo di reni, per scoprire che in realtà le cose così come sono non sono poi così male.

Questo è esattamente l’effetto che fa “Atti casuali di violenza insensata”.

L’inizio del libro è un tranello: un’adolescente di buona famiglia riceve in dono un diario dal padre sceneggiatore e dalla madre professoressa. Il tuo primo pensiero è una linea retta: “Seguirò nel tempo le vicende, le ansie e le passioni di una ragazza di buona educazione e di scrittura raffinata”. Ma la storia se ne frega di te e del tuo pensiero e presto si  mette a disegnare una curva, prima solo un po’ calante, poi in picchiata verticale.

In una fanta-New York devastata dalla guerra civile la storia racconta disastri economici, abbandoni, solitudini, amori frustrati, scoperte inquietanti e accettazioni dolorose, allarmi, pallottole vaganti, mazze e catene, baci, abbracci e pestaggi che potresti anche reputare sconvenienti se la normalità della storia non fosse l’indifferenza. E soprattutto la lingua della storia cambia , giorno dopo giorno, pagina dopo pagina, fatto dopo fatto: si contrae, si contorce, si sfrangia e si riassembla in frammenti che diventano comprensibili solo perché li hai visti esplodere.

Così, quando arrivi all’ultimo rigo e chiudi il libro, felice di non essere lì, ti viene da dire “Alla fine, a me, potrebbe andare peggio”.

E costa molto meno di un antidepressivo.

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